Fatta eccezione per qualche birraio particolarmente estroso, ogni birra ha inizio con una ricetta. La maggior parte di noi infatti, prima di produrre una birra ha la necessità di consultarne o stilarne una. Nelle prime produzioni all-grain iniziai affidandomi a ricette già scritte (perlopiù prese da libri), ma dopo alcune cotte subentrò la voglia di creare qualcosa di più personale, e iniziai quindi studiarne ed a sperimentarne di mie. Negli anni poi la creazione di una ricetta è divenuta per me la parte più stimolante di tutto il processo brassicolo (a pari merito con la degustazione).
La creazione di una ricetta implica due aspetti principali, quello edonistico/sensoriale e quello matematico/scientifico. Se da una parte infatti con una determinata ricetta vogliamo ottenere determinate caratteristiche gustative/olfattive (aspetti più legati alla sfera emotiva/creativa/edonistica), dall’altra dobbiamo tenere conto di efficienze di estrazione, conversione, pH ed altri aspetti più quantitativi/razionali che regolano la buona riuscita del processo e quindi la corretta espressione dei tratti organolettici che avevamo in mente.
Prima dell’avvento dei programmi per lo sviluppo delle ricette (BeerSmith, Brewfather, Brewer’s Friend, etc.), il birraio doveva fare i conti con parecchie formule durante lo sviluppo di una ricetta: formule per calcolare le quantità di malti da utilizzare per ottenere una determinata OG ed un determinato colore EBC, formule per stimare gli IBU, formule per prevedere il pH di mash, calcolare le aggiunte di sali, etc. Ricordo che con due testi alla mano (Designing Great Beers di Ray Daniels e A Handbook of basic brewing calculations di S. R. Holle) mi creai un mio personale foglio di calcolo, affinché questo mi sollevasse dall’onere di dover fare ogni volta i calcoli a mano (compito che non trovavo particolarmente rapido e divertente). Fortunatamente poi un anno fa scoprii Brewfather, con il quale mi trovai subito bene (soprattutto per quanto riguarda l’interfaccia grafica, le formule utilizzate per l’amaro e la stima del pH), e che continuo quindi ad utilizzare tutt’ora. In generale, sono sempre meno i birrai/homebrewers che fanno i calcoli a mano, presumeremo quindi che la parte di calcolo di una ricetta non sia più compito del birraio, e non la affronteremo in questo articolo (anche se affronteremo alcune di queste formule nei prossimi articoli). Deputata ad un programma la parte più matematica dello sviluppo di una ricetta, non rimane che sbizzarrirsi con la parte più creativa.

Ritengo che ogni birraio abbia un metodo personale per approcciarsi alla formulazione di una ricetta. C’è chi si basa molto sull’ispirazione e sulla creatività nella scelta degli ingredienti, chi prende come riferimento una birra particolare, chi vuole riprodurre uno stile storico, etc. Ovviamente non vi è un approccio giusto o sbagliato, migliore o peggiore, la scelta dipende solamente dallo scopo che ci si prefigge e dalle proprie inclinazioni personali. Di seguito riporterò quello che è il mio modus operandi.
In base alla motivazione che mi spinge alla creazione di una nuova birra, ho diversi approcci alla formulazione della ricetta. Schematizzandoli come una successione di step, si raggruppano essenzialmente in due tipologie:
- Definizione birra target -> scelta ingredienti/processo produttivo -> stesura ricetta
- Scelta ingredienti caratterizzanti -> definizione birra target -> scelta altri ingredienti/processo produttivo -> stesura ricetta
Nel processo 1., si parte dalla scelta della birra che voglio produrre: me ne figuro un’accurata riproduzione mentale, delineando con precisione tutte le caratteristiche sensoriali (aspetto, olfatto, gusto e retrolfatto). Questa idea può o nascere da una birra che ho già bevuto, da un’ispirazione particolare, o dalla curiosità per uno stile che ancora non ho provato. In quest’ultimo caso ovviamente ho bisogno di avere qualche informazione su questo stile prima di poterne immaginare il profilo olfattivo e gustativo. La prima cosa che faccio quindi è consultare la descrizione dello stile sul BJCP (Beer Judge Certification Program – un sistema americano di categorizzazione degli stili birrai, pensato principalmente per discriminare le birre nei concorsi). Qui possiamo trovare sia un descrizione di come si presenta lo stile dal punto di vista sensoriale (aspetto, olfatto, gusto, retrolfatto), sia gli ingredienti più comuni utilizzati. Inoltre spesso sono presenti alcune note storiche interessanti. Ora, tra i range suggeriti dal BJCP individuo i valori cardinali che desidero abbia la mia birra (OG, FG, IBU, EBC), e mi figuro bene i descrittori che vorrei si percepissero al naso e al gusto. Se ne ho la possibilità assaggio anche alcune birre in quello stile, per farmi un’idea delle combinazioni possibili e verso quale mi voglio avvicinare, o se voglio invece prendere una strada diversa.

Una volta inquadrato bene il mio obiettivo, ed immaginata con dovizia di particolari la birra che alla fine di tutto ciò mi vorrei bere, procedo con il successivo step: individuare gli ingredienti e le variabili di processo che mi permettano di ottenere quel risultato. In questa fase, che forse è la più difficile, a mio avviso il ruolo più importante ce l’ha l’esperienza. Tra le diverse tipologie di malti, luppoli, lieviti, spezie, per non parlare delle variabili di processo, profilo dell’acqua e chi più ne ha più ne metta, trovare subito la correlazione tra ingredienti e risultato è estremamente difficile. Le prime volte possono essere d’aiuto le informazioni che troviamo su internet o sui libri sulle caratteristiche impartite dai diversi ingredienti (o spesso sono fornite dagli stessi produttori di luppoli/malti). Se vogliamo riprodurre uno stile particolare, può essere un valido approccio anche partire utilizzando materie prime della regione nella quale si è originato lo stile. Con le dovute accortezze possiamo anche prendere spunto dalle esperienze di altri birrai (su vari forum le opinioni su questo o quel malto/lievito/luppolo non sono affatto difficili da reperire), ricordandoci comunque che le variabili in gioco sono diverse, e che oltretutto la degustazione e l’analisi sensoriale non sono scienze esatte. Quando ad esempio leggiamo su un forum americano che un birraio utilizzando un malto ha ottenuto da esso un certo descrittore, non è assolutamente detto che noi otterremo lo stesso risultato, o che daremo a quell’aroma lo stesso nome. Quindi ben venga radunare un po’ di informazioni dalle esperienze altrui, ma alla fine è inevitabile che le proprie esperienze (con la giusta capacità autocritica) saranno il fondamento più importante sul quale basare le proprie scelte ed il proprio percorso.
A questo proposito trovo molto utile bere assieme ad altri produttori le loro birre, per poterci chiedere reciprocamente i dettagli delle ricette e cercare di arricchire ulteriormente la nostra conoscenza delle correlazioni tra ingredienti/processo e risultato, “sfruttando” anche le prove altrui.
Nel caso 2. invece il percorso è l’inverso. Inizialmente l’idea nasce dal desiderio di utilizzare un ingredienti particolare (o un connubio di ingredienti che mi intriga particolarmente, magari preso in prestito dal mondo della cucina/pasticceria). Quindi, il resto degli ingredienti viene scelto di conseguenza, cercando di individuare quali possano bilanciare e sostenere gli elementi caratterizzanti scelti, ed immaginandomi quindi la birra che ne risulterà.
Che voi creiate ricette seguendo processi mentali simili, o completamente differenti, vi è comunque un importante step che ritengo debba accomunarli tutti: la valutazione del risultato e la continua ricerca del miglioramento.

Di pari passo con la stesura della ricetta e con la produzione della birra vi è infatti la sua degustazione. Se non siamo in grado di valutare accuratamente il nostro prodotto, difficilmente riusciremo a capire come migliorarlo, e come migliorarci come birrai. Trovo che sia importante quindi cogliere tutte le occasioni possibili (che siano serate di degustazione, libri, corsi, confronti con altri appassionati, etc.) per migliorare anche le nostre capacità degustative (a questo proposito un articolo che ho utilizzato in passato in alcuni corsi in università, e che reputo molto valido è il kit sensoriale). Anche perché proprio per la soggettività di questa disciplina, un allenamento costante, e possibilmente un confronto continuo con degustatori più o meno esperti, sono indispensabili per un progressivo miglioramento e per la formazioni di buone capacità di riconoscimento degli aromi ed un “corretto” vocabolario sensoriale.
Con numerose prove, imparando gradualmente a conoscere gli ingredienti ed affinando una stessa ricetta con diversi tentativi, riusciremo ad avvicinarci al risultato inizialmente immaginato. O magari otterremo un risultato diverso, ma che ci convincerà di più e che ci farà cambiare l’obiettivo iniziale. La strada per la ricetta della birra dei nostri sogni è tortuosa ed incerta. Tuttavia sentiamo spesso dire che l’importante non sia tanto la meta quanto il viaggio, e nel nostro caso in effetti più del risultato saranno formativi i tentativi che faremo, durante i quali potremo cogliere numerosi insegnamenti e acquisire gli strumenti che ci torneranno utili nelle nostre future ricette. L’importante è rimanere sempre curiosi e sempre pronti a mettersi in discussione.

Sperando che abbiate potuto trarre qualche spunto interessante, vi rimando alla prossima parte dell’articolo, nella quale vedremo nella pratica come formulare una ricetta!