Siamo agli inizi della stagione calda, e come ogni anno in questo periodo ci prepariamo a festeggiare San Patrizio. Per noi appassionati di birra, San Patrizio rappresenta un connubio indissolubile con le birre irlandesi, il cui esempio più emblematico è senza dubbio la Irish dry stout e in generale le birre scure, spesso consumate in gran quantità per questa festività.

La ricetta che voglio proporvi è però una tradizionalissima Irish dry stout, una ricetta che ho prodotto più volte negli anni, con discrete soddisfazioni. Approfitteremo dell’occasione anche per dare alcune dritte su come carbonarla e servirla con una miscela di anidride carbonica e azoto, per ottenere la tipica cremosità della schiuma e l'”effetto cascata”, caratteristiche di questo sistema di spillatura.

Irish dry stout – Golden pot
(Ricetta per impianto All-in-One da 30L, eff. 75%. Birra prodotta circa 23L)

Caratteristiche birra:
OG: 1.042            FG: 1.010
EBC: 78                IBU: 35

Questo stile possiede una ricetta molto semplice, per un profilo aromatico altrettanto semplice. Una Irish dry stout infatti nulla ha che vedere con birre scure corpose e dagli aromi complessi, cosiddette “da meditazione”. Lo scopo di questa birra è infatti la beverinità, un corpo leggero ma setoso, delicate note maltate, e finale acidulo con una punta di torrefatto.
La base è dunque un malto Pale Simpsons, con una corposa aggiunta di fiocchi d’orzo. La peculiarità dei fiocchi d’orzo, per mia esperienza, è quella di “tagliare” il sapore, senza perdere corpo. Ci permette quindi di guadagnare in beverinità, senza rischiare di avere una consistenza watery. Il profilo di malti si conclude quindi con una sostanziale aggiunta di Roasted barley (ingredienti caratteristico dello stile), e di Black malt, malto in grado di donare un’intensa colorazione, mantenendo la schiuma chiara e senza dare eccessive note astringenti. Per semplificare il ricircolo e filtrazione che potrebbero essere rallentati dai fiocchi, aggiungiamo un po’ di lolla. L’ammostamento è molto semplice, monostep a 66°C, per un buon bilanciamento tra maltosio e destrine. Io spesso in questa ricetta evito il mash-out, per ridurre l’estrazione di composti astringenti dal malto torrefatto, e passo subito al risciacquo delle trebbie, con acqua di sparge a 75°C.

Malti e succedanei:
3,2 kg (70%) Simpsons Pale Malt
900 g (20%) Fiocchi d’orzo
200 g (5%) Simpsons Black Malt
200 g (5%) Simpsons Roasted barley
50 g (-) Lolla di riso

Volumi acqua: mash-in con 15,7 L, sparge con 15,4 L

Ammostamento:
Saccarificazione: 66 °C per 60 min

Aggiungiamo nel mosto che stiamo raccogliendo il luppolo per il first wort hopping, ovvero la classica varietà inglese Target. Questa sarà l’unica aggiunta di luppolo, poiché in questa birra non ricerchiamo particolari aromi luppolati. Portiamo il tutto ad ebollizione, e attendiamo 50 minuti. A 10 minuti dal termine aggiungiamo 5 g di chiarificante a base di carragenina da alghe Supermoss HB. Eseguiamo il whirlpool, e procediamo al raffreddamento e trasferimento nel fermentatore.

Durata bollitura: 60 minuti – 27,5 L pre-boil a 1.038

Luppoli e gittate:
25 g (o q.b. per 35 IBU) – Target pellet T90 (in First wort hopping)
5 g – Supermoss HB (a 10 minuti dal termine della bollitura)

Profilo dell’acqua consigliato:
Calcio 110-130
Magnesio 10-15
Sodio 40-50
Cloruri 150-200
Solfati 50-100
Bicarbonati 130-150

Il profilo dell’acqua scelto è abbastanza ricco, a sostenere l’acidità data dai malti scuri (con una buona presenza di bicarbonati), e ad aiutare la pienezza del corpo, che deve appunto risultare leggero ma pieno. In particolare sodio e cloruri alti ci aiuteranno a questo scopo.

Lievito: Fermentis SafAle™ S-04, oppure Lallemand Lalbrew® Nottingham™, oppure Wyeast 1084 Irish Ale.

Per la fermentazione ci affidiamo a uno dei 3 ceppi sopra elencati. Si tratta di tre ceppi simili ma diversi. Il ruolo del lievito per questo stile è di essere abbastanza neutro, e di lasciar trasparire le leggere note torrefatte. Qualunque dei tre decidiate di usare, mantenete una temperatura di fermentazione un po’ più bassa del solito (intorno ai 16-18°C). Utilizzate 1 o 2 bustine per i due ceppi secchi, o una busta previo starter, per il liquido (consiglio di utilizzare un calcolatore del pitching rate per eseguire uno starter del volume corretto). Inoculo a 16°C, lasciar salire a 18°C e mantenere stabile. A densità finale raggiunta, procedete a fare un rapido cold crash se possibile, quindi imbottigliate/infustate, e dopo 4-6 settimane è pronta da bere. Carbonazione a 1,8 o max 2,0 volumi. Salute!

P.S.: e come faccio ad ottenere l’effetto cascata di bollicine?! La soluzione è quella di carbonare e spinare la birra con una miscela di anidride carbonica e azoto. L’effetto tipico e la schiuma pannosa derivano proprio dalla presenza di questo gas e dalla sua poca solubilità nella birra, che tende quindi a creare delle bollicine molto fini. L’effetto a cascata subito dopo la spillatura è dato dalla corrente ascensionale della CO2, che dopo la spillatura tende ad uscire, e crea dei moti convettivi che di contro trascinano verso il basso le piccole bollicine di azoto.
Per ottenere questi benefici, innanzitutto è indispensabile procurarsi delle bombole con una miscela alimentare di azoto (al 70-75%) e anidride carbonica (al 25-30%). Questa miscela è ben conosciuta tra gli addetti ai lavori, in quanto utilizzata per alcuni esempi di birre commerciali. Date le diverse proprietà fisiche dell’azoto, questo viene gestito a pressioni molto più alte, intorno ai 200 bar. Necessita quindi di bombole più spesse, che oltretutto si svuotano prima, in quanto nemmeno a tali pressioni l’azoto passa allo stato liquido. Tali pressioni richiedono anche riduttori di pressione primario e secondario specifici per azoto, per poter scendere poi in sicurezza alle pressioni di esercizio di un normale impianto di spillatura. La valvola della bombola possiede una filettatura diversa da quella normalmente in dotazione sulle bombole di anidride carbonica, come ulteriore misura di sicurezza per evitare di collegarci un riduttore di pressione errato. Nella pratica, la carbonazione avviene poi come con la normale carbonazione forzata con CO2, sarà sufficiente utilizzare una pressione più alta (per 2 VOL di CO2, indicativamente 2 bar con la birra a 5 °C. Come formula indicativa, calcolare una pressione impostata pari a 4 volte quella normalmente utilizzata per la sola CO2). Il tempo per avere una completa solubilizzazione è un po’ più lungo, di norma 7-10 giorni. Agitare di tanto in tanto il fusto può velocizzare il processo.
Una volta che abbiamo la nostra birra carbonata, la possiamo porre nel nostro kegerator, e impostare la pressione corrispondente di spinta, sempre con carbo-azoto. L’ultimo elemento necessario sarà quindi un rubinetto all’inglese “nitro”, dotato di inserto sparkler (un inserto con piccoli forellini), che contribuisce alla formazione di un flusso turbolento durante la mescita, e alle bollicine fini. Questo di norma funge anche da freno, per limitare l’eccessiva velocità e formazione di schiuma, altrimenti o dovremo procurarci un rubinetto con compensatore (sistema di regolazione della velocità di flusso), o regolare la lunghezza e resistenza dell’impianto di spillatura in modo tale da “frenare” sufficientemente il flusso. In alternativa possiamo gestirci anche variando leggermente la pressione di spinta, che tuttavia a lungo andare andrà a modificare il livello di carbonazione del fusto. Approfondiremo comunque le regole per configurare un buon impianto di spillatura in un prossimo articolo.
Ora abbiamo tutto il necessario per goderci una perfetta Irish dry stout, e festeggiare adeguatamente il giorno di San Patrizio! E ricordate, date le pressioni di lavoro, e l’instabilità dell’azoto nella birra, evitate assolutamente di provare a imbottigliare una birra carbonata in questo modo, se non volete avere brutte esperienze. Cheers!

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