Con il sopraggiungere dell’estate e del caldo, per i più aumenta il desiderio di bere qualcosa di leggero e dissetante. E poche bevande possono soddisfare questo desiderio come una buona birra alla frutta!
Storicamente, l’utilizzo della frutta nella birra ha quasi esclusivamente riguardato le fermentazioni spontanee del Belgio, le cui versioni alle ciliegie – kriek, e lamponi – framboise, sono particolarmente celebri. Tuttavia con l’avvento della craft revolution americana, anche questa tipologia di birre ha avuto una maggiore diffusione, tant’è che oggigiorno molti birrifici propongono almeno una fruit beer nella loro offerta.
Se però storicamente l’utilizzo nella frutta non era particolarmente diffuso, c’era un motivo: non è affatto semplice ottenere una buona fruit beer, e l’utilizzo della frutta comporta diverse sfide e rischi per il birraio. Per nostra fortuna negli ultimi anni il mercato ha introdotto diverse alternative alla frutta fresca, che hanno permesso di ridurre alcune difficoltà e di rendere la produzione di questo stile più abbordabile. In questo articolo cercheremo di fare una panoramica sull’utilizzo di questo divertente ingrediente, e di rispondere alla maggior parte delle domande che potrebbero sorgerci mentre ci accingiamo a produrre una fruit beer. Infine riporterò due ricette, caratterizzate entrambe dalla frutta, ma con approcci produttivi radicalmente diversi.
Iniziamo parlando proprio della frutta, argomento che già di per sé comporta moltissime variabili. Vi sono ovviamente innumerevoli tipologie di frutti che si possono utilizzare nella birra, ed ognuno di essi, oltre a distinguersi per i propri aromi e i sapori, si comporta in modo peculiare quando lo introduciamo nella birra.
Andiamo quindi a vedere un po’ in linea di massima da cosa sono costituiti i frutti:
- zuccheri semplici: la loro percentuale (tra glucosio, fruttosio e saccarosio) oscilla tra il 4% in un lampone e il 12% in una banana, ma per alcuni frutti come il dattero può arrivare anche al 60%. Contribuiscono ad alzare la densità della birra, e venendo fermentati, anche il grado alcolico. E’ importante quindi cercare di valutare quanti zuccheri si andranno ad aggiungere utilizzando la frutta, e che contributo alcolico conferiranno. Venendo questi fermentati, non daranno dolcezza nella birra finita;
- altri carboidrati: tra questi troviamo in particolare diversi carboidrati indigeribili, come le pectine, che sono un noto agente gelificante (contribuiscono alla gelificazione delle marmellate), e che possono conferire torbidità e viscosità. Generalmente vengono estratti a caldo, in particolare dalle bucce, quindi tenetene conto se utilizzate la frutta in bollitura. E’ possibile eventualmente eliminare il problema della torbidità che ne deriva utilizzando enzimi specifici, le pectinasi;
- acidi organici: nella frutta troviamo diversi acidi organici, che contribuiscono al pH basso (da circa 2 degli agrumi, a 3-3,5 per lamponi e ciliegie, fino a 4 per banane e pere). Generalmente con l’aumentare della maturazione, diminuisce leggermente il contenuto di acidi organici ed aumenta quello degli zuccheri. Gli acidi maggiormente presenti sono l’acido citrico (perlopiù negli agrumi e nei frutti di bosco), l’acido malico (che troviamo nelle mele, banane, uva, etc.) e l’acido tartarico (meno diffuso. Presente in uva, avocado, tamarindo). Poiché il pH della birra (4-4,6 per birre non acide) è più alto rispetto a quello della maggior parte della frutta, con la loro aggiunta potremmo avere un abbassamento del pH. A questo riguardo una parentesi: in molti casi, un pH finale della birra più vicino a quello originario del frutto contribuirà ad esaltarne gli aromi. Non a caso le prime birre alla frutta erano proprio birre acide, con un pH simile a quello della frutta stessa. E tutt’ora tra gli stili alla frutta più diffusi vi sono sour, berliner weisse, etc;
- altri componenti: molti semi e noccioli dei frutti sono ricchi di precursori dell’acido cianidrico/cianuro, come ad esempio l’amigdalina (di cui sono ricche le mandorle, i noccioli di albicocche, etc). Il rischio di intossicazione utilizzando frutta come ciliegie, mele, pesche non private dei noccioli è veramente basso, tuttavia è sempre bene sapere che vi è questa possibile implicazione. Le stesse molecole sono anche responsabili degli aromi di mandorla conferiti proprio dall’uso della frutta non privata del nocciolo (pratica ad esempio normale nelle kriek tradizionali), e che quindi secondo alcuni produttori è una caratteristica importante che conferisce maggiore equilibrio e rotondità alla birra finita. Infine la frutta fresca contiene ovviamente soprattutto acqua (75-90%), e minime quantità di proteine e grassi. Queste componenti di solito non hanno un ruolo particolare nella produzione della birra. Una nota finale sui pigmenti: i frutti hanno diversi colori vivaci, e spesso siamo abituati ad associare il loro sapore al loro colore caratteristico. La vista ricopre un ruolo subconscio spesso sottovalutato nell’appetibilità di cibi e bevande (a questo riguardo si potrebbe aprire una lunghissima parentesi sull’utilizzo ben preciso dei coloranti nell’industria alimentare, ma esulerebbe dallo scopo di questo articolo). Ci vorremmo quindi aspettare che una birra ai mirtilli abbia una sfumatura blu, una birra alla fragola sia rosata, etc. Purtroppo non avviene sempre così. Alcuni pigmenti della frutta non sono particolarmente solubili nelle soluzioni acquose (quale che è la birra), ma maggiormente nei grassi; altri invece tendono ad ossidarsi rapidamente una volta che fuoriescono dalle cellule vegetali, e a perdere la loro capacità colorante. Anche utilizzando quindi materia prima della migliore qualità, non aspettatevi sempre che il colore del frutto si trasferisca alla birra! Volendo potreste ricorrere a coloranti più o meno naturali, ma personalmente ritengo sia meglio limitare l’uso di additivi se non strettamente necessari, valorizzando invece un prodotto artigianale per la sua qualità e genuinità.
Ora che abbiamo conosciuto un po’ meglio la materia prima e abbiamo deciso che tipologia di frutto utilizzare nella nostra birra, dobbiamo capire il come. Possiamo optare per la frutta fresca, oppure per succhi o puree, o ancora per altri prodotti derivati (concentrati, estratti, etc.).
Se dovessimo optare per la frutta fresca, l’opzione più romantica sarebbe sicuramente quella di trovare un produttore di frutta locale, biologico o con un utilizzo limitato di trattamenti sui frutti, e accaparrarsi frutta di stagione al giusto grado di maturazione. O ancora meglio se magari avessimo la fortuna di possedere noi stessi un albero da frutta in giardino. Purtroppo non sono strade sempre percorribili, quindi eventualmente si può optare per della frutta fresca presa all’ortofrutta o al supermercato (prediligendo sempre prodotti biologici, che ci garantiscono una quantità inferiore di sostanze estranee presenti sulla buccia). L’utilizzo della frutta fresca è sicuramente il più genuino, ma presenta una maggiore laboriosità, nonché alcuni maggiori rischi. La frutta andrà infatti lavata, e dipendentemente dal frutto e dall’utilizzo che vorrete farne, dovrete anche sminuzzarla o ridurla in purea (ed eventualmente congelarla. Il processo di congelamento domestico infatti, con la creazione lenta di grossi cristalli di ghiaccio, provoca la rottura delle pareti cellulari). Così facendo renderete più accessibili le sostanze nella polpa, che saranno quindi estratte nella birra in tempi più rapidi. Questo metodo si presta soprattutto se prevedete dei tempi di contatto tra frutta e birra/mosto abbastanza brevi (nell’ordine di minuti se la utilizzate in bollitura, o alcuni giorni se aggiunta in fermentazione). Se invece vi apprestate a produrre birre particolari, con mesi di contatto tra birra e frutta (ad esempio nelle kriek alla ciliegia), allora è possibile anche usare la frutta intera, o al massimo spezzettata grossolanamente. Ci penserà l’azione del tempo (e di eventuali lieviti/batteri), ad intaccare le pareti cellulari dei frutti e ad estrarne i composti.
L’altra grande problematica della frutta fresca è proprio la presenza di lieviti/batteri sulla buccia, che può quindi portare alla contaminazione della nostra birra. Questo fenomeno può essere voluto nel caso di birre acide o a fermentazione mista, ma non è invece auspicabile negli altri stili di birra.
Possiamo allora considerare diversi approcci per affrontare questo rischio:
- potremmo utilizzare la frutta durante la bollitura, garantendone così una pastorizzazione. Questo comporta però alcuni svantaggi, ovvero la perdita di parte degli aromi della frutta e la formazione dei caratteristici sentori di “frutta cotta”, nonché la potenziale estrazione di pectine con conseguente torbidità. Spostando l’aggiunta della frutta a fine bollitura o in whirlpool e riducendo quindi al minimo il danno termico, possiamo ridurre in parte questi effetti. Oltre a questi aspetti, va anche considerato che l’estrazione dei composti della frutta in un periodo così breve non è molto efficace. A mio avviso nella maggior parte dei casi questo non è il metodo migliore da utilizzare;
- possiamo cercare di pastorizzare a livello casalingo la frutta/purea che abbiamo ottenuto dalla frutta, e quindi aggiungerla in fermentazione. La pastorizzazione casalinga comporta ovviamente comunque un danno termico alla frutta, ma con un po’ di accortezze (scelta accurata del metodo, e dei tempi/temperature del trattamento), riusciamo a ridurlo molto rispetto all’utilizzo in bollitura. Oltretutto l’estrazione durante la fermentazione è molto più efficace rispetto alla breve estrazione in bollitura. Oltre al trattamento termico vi sono anche altri metodi di stabilizzazione microbiologica (come l’utilizzo di solfiti), ma richiedono una certa competenza per non rischiare di andare a rovinare il prodotto, o a compromettere la vitalità del lievito in fermentazione;
- utilizzare comunque la frutta fresca senza alcun trattamento. Questa via implica sicuramente una certa dose di rischio, ciononostante non è da escludersi a priori. Se decidete di adottare questo approccio, è consigliabile, in via precauzionale, utilizzare un fermentatore che sarete in grado poi di pulire e sanificare perfettamente, o che nel caso le cose andassero male, siate disposti a dedicare solamente a produzioni funky. Se scegliete questa opzione per produrre una birra non acida, dovrete cercare di ridurre il rischio di contaminazioni. Prima di procedere a tagliare/sminuzzare la frutta, pulitela e “disinfettatela” con appositi prodotti per gli alimenti (ad es. Amuchina), per ridurre la carica microbica sulla superficie. Quindi risciacquatela adeguatamente, e utilizzando guanti e utensili sanificati, procedete a sminuzzarla. Appena finito questo processo, inserite i pezzi/purea risultanti nel fermentatore. Si consiglia di fare l’aggiunta circa a 2/3 della fermentazione, o poco dopo. Vogliamo che il pH, il grado alcolico, l’anidride carbonica e la carenza di nutrienti fungano già da ostacoli alla riproduzione di eventuali batteri/lieviti selvaggi, ma allo stesso tempo che il lievito della fermentazione primaria non sia ancora del tutto in stallo e riesca a fermentare in tempi rapidi gli zuccheri conferiti dalla frutta.

Nel caso volessimo evitare assolutamente il rischio di contaminazioni ma ottenere comunque un’impronta decisa dalla frutta, possiamo optare per derivati della frutta, che hanno subito da parte dei produttori stessi i trattamenti di stabilizzazione necessari (processi che se eseguiti con attrezzature specifiche permettono di ridurre a livelli minimi il danno termico alla materia prima).
Il mercato offre diversi prodotti: estratti, concentrati, puree surgelate, olii essenziali, etc. Ognuno di questi possiede caratteristiche diverse, e va utilizzato in modo diverso. Quasi tutti sono però accomunati dalla possibilità di essere utilizzati in fermentazione, senza preoccuparsi del rischio di contaminazioni. Possono anche essere aggiunti subito prima dell’imbottigliamento, per ritenere al massimo le componenti aromatiche. Per alcuni frutti tuttavia l’interazione con il lievito potrebbe avere un ruolo molto positivo (fenomeno denominato bioconversione, ed ora molto in voga per le sue implicazioni nella modificazione degli olii del luppolo durante il dry-hopping), quindi sperimentare aggiunte anche nelle fasi iniziali della fermentazione può essere molto interessante.
Quando utilizziamo questi prodotti è bene valutare alcuni aspetti:
- contenuto di zuccheri: come per la frutta stessa, ovviamente diversi prodotti derivanti dalla frutta contengono zucchero, alcuni in quantità anche più importanti essendo concentrati (o in seguito ad aggiunte per stabilizzare il prodotto). Soprattutto se li utilizziamo subito prima del confezionamento, dobbiamo tenere conto di questo zucchero, che verrà fermentato dal lievito e aumenterà la CO2 e il grado alcolico. Conoscendo la percentuale precisa di zucchero (presente nelle indicazioni nutrizionali) possiamo facilmente calcolare quanto ne andiamo ad introdurre, e usarlo quindi come parziale o totale sostituto per lo zucchero della rifermentazione
- presenza di conservanti: alcuni conservanti (ad esempio i sorbati) possono interferire con l’attività del lievito, quindi meglio evitare i prodotti che li contengono

Abbiamo affrontato ora i principi generali della birrificazione con la frutta, e li metteremo in pratica nei prossimi articoli, con ben due ricette!