Nello scorso articolo abbiamo rivissuto la storia del dip hopping, approfondito alcuni aspetti teorici e valutato soluzioni per la sua attuazione pratica. In questo nuovo capitolo faremo invece tesoro dell’esperienza di due birrai italiani che l’hanno provato, ed hanno intrapreso un percorso di sperimentazione che si sta rivelando molto interessante. Parlo di Elia Adanti, birraio di RentOn (nota realtà fondata dal 2014, con attuale sede a Fano – PU), e Gionatan “JhonBrewing” Ventola, homebrewer di grande tecnica ed esperienza (e prossimo all’apertura della propria realtà birraia).

M: Innanzitutto grazie ad entrambi per aver voluto condividere le vostre esperienze con il dip hopping! Essendoci ancora relativamente poca conoscenza su questa tecnica, poter avere il parere di chi la sta sperimentando in modo professionale è davvero molto formativo. Ma per voi com’è iniziato il tutto? Come siete venuti a conoscenza del dip hopping?
Elia: per me la curiosità è nata lo scorso inverno, quando per la prima volta l’ho sentito nominare parlando con un collega birraio. Successivamente ho letto alcuni articoli online, e cercato le poche pubblicazioni disponibili. Data la poca teoria presente, è stato poi una scommessa iniziare con la pratica, ed anche da questo è nata la collaborazione con Jhon.
Jhon: il mio primo “incontro” con il dip hopping è avvenuto invece leggendo l’articolo su Cronache di birra. E poi, appena ne ho avuto la possibilità, ho iniziato con le sperimentazioni.

M: A proposito di sperimentazioni, ad ora quante prove avete fatto? Jhon, per te che hai un impianto ben collaudato da 80 L, è sicuramente più semplice fare prove in modo sistematico.
Jhon: sì esatto, infatti mi sono potuto divertire parecchio. Attualmente ho già prodotto quattro birre con il dip hopping, e a breve ne produrrò altre. Per ora l’ho utilizzato su una American IPA, una Session IPA, una NEIPA, e una birra che non rientra in nessuno stile particolare, ma pensata proprio per testare questa tecnica. Quest’ultima l’ho pensata e prodotta proprio assieme ad Elia.
M: Elia, con un impianto da 16 hL, è invece più delicato fare delle prove…
Elia: purtroppo sì, provare tecniche e ricette in un impianto “grande” è sempre un processo delicato, che richiede un’accurata pianificazione. Senza contare i serrati ritmi della produzione delle linee base del birrificio, che rendono non semplice incastrare cotte prova. Per ora quindi abbiamo fatto una sola produzione con il dip hopping, ma puntiamo a farne altre a breve, visti i risultati interessanti. Ad ora lo abbiamo provato sulla nostra NEIPA, la Gummo.

Gummo, la NEIPA del birrificio Renton sulla quale Elia ha provato il dip hopping

M: Al momento quindi lo avete provato entrambi su luppolate ad alta fermentazione. E per quanto riguarda le varietà utilizzate? Avete testato qualche luppolo particolare?
Elia: Noi per ora l’abbiamo utilizzato solamente con luppolo Cryo®. Nella Gummo abbiamo infatti utilizzato Cryo Pop® (blend di varietà pensato per massimizzare i composti fruttati del luppolo più persistenti) e Cryo® Idaho 7® in dip hopping, in combinazione poi con le altre varietà che usiamo nel dry hopping. Per la birra sperimentale prodotta insieme a Jhon, è stato utilizzato solamente Cryo® Pop, e tutto il luppolo in ricetta è stato usato in dip hopping.
Jhon: Come varietà io ho provato invece Simcoe®, Mosaic®, Citra® e Idaho 7®. Però tra i progetti futuri c’è sicuramente quello di valutare delle varietà europee, dalle quali potrebbe tirare fuori aromi inaspettati.

M: E per quanto riguarda invece gli altri aspetti pratici? Temperature, tempi, acqua o mosto per l’infusione?
Elia+Jhon: Le modalità che abbiamo utilizzato sono le medesime, temperatura di 60-65°C per 30 minuti di infusione nel mosto. Il serbatoio era stato preventivamente saturato di CO2.
Elia: Una volta pensato e organizzato bene il tutto, in realtà non è particolarmente difficile da adottare come tecnica, nemmeno in birrificio.

M: Beh, questo penso consolerà molti birrai che magari vorrebbero provarlo ma sono un po’ restii, visto che non è mai banale introdurre nuovi processi in produzione. Quindi nel complesso che idea vi siete fatti del dip hopping? Vantaggi e svantaggi?
Jhon: Personalmente la trovo un’ottima tecnica di luppolatura. Credo che la utilizzerò sempre più per sostituire il late hop o l’hop stand. Mi sembra che, a parità di quantità di luppolo utilizzato, la resa aromatica sia decisamente migliore, e la tipologia di aromi ottenuti molto simile. Inoltre riducendo il carico di luppolo nel tino di boil si semplifica il whirlpool e si riducono le perdite di mosto in quella fase. Ovviamente aumenta il carico di luppolo nel fermentatore, ma tra filtri, cold crash e chiarificanti, trovo più semplice ridurre le perdite di birra in questa fase piuttosto che in whirlpool.
Elia: Sono d’accordo, anche secondo me questa tecnica presenta una migliore resa in termini di estrazione dei composti aromatici rispetto al late hopping. Sicuramente dalle prossime prove che faremo avremo conferma o meno di ciò. Nella nostra prova sulla Gummo, i benefici del dip hopping sono stati un po’ mascherati da un dry hopping massiccio, ma su birre con dry hopping assente o leggero, può fare decisamente la differenza in termini aromatici. Da un punto di vista pratico, come dicevo, va studiata bene in base all’impianto che si utilizza, ma a noi non ha complicato affatto le cose, anzi spostare le gittate dal late hop al dip hopping ce le semplifica!

Session IPA prodotta da JhonBrewing con Simcoe® e Idaho 7® in dip hopping

M: In effetti non avevo pensato ai potenziali vantaggi anche da un punto di vista produttivo. Migliore resa significa meno luppolo utilizzato, che si traduce sia in minori spese per la materia prima, sia in minori perdite di mosto. Motivo ulteriori per approfondire la conoscenza di questa tecnica. Prossime prove future quindi? Avete già qualche idea?
Jhon: Sì, diverse. Approfondiremo sicuramente la combinazione tra dip hopping e luppolo in pellet Cryo®. Poi mi piacerebbe testarlo anche su un prodotto insolito, ovvero sui coni di luppolo trinciati sul momento e non pellettizzati. Questo dovrebbe permettere di mantenere gli aromi più “freschi” del luppolo in coni, e di avere al contempo l’efficienza di estrazione del pellet. Infine, come già accennato, lo proveremo su basse fermentazioni e su luppoli europei, dove pensiamo possa fare grande differenza rispetto alle tecniche di luppolatura tradizionali.
Elia: Per quanto mi riguarda vorrei approfondire gli effetti di differenti tempi e temperature di infusione. Quindi, una volta trovato il processo a noi più congeniale, mi piacerebbe utilizzarlo su diverse birre della nostra linea classica, come ad esempio la Jimmy Pale (la nostra Session IPA), per sostituire in parte il late hopping. Vorrei anche introdurlo poi su birre meno luppolate, per valorizzare l’apporto di questa tecnica. Uno degli step futuri, come diceva Jhon, sarà appunto quello di provare il dip hopping anche su basse fermentazioni e su luppoli europei.

M: Direi che le idee non vi mancano, e sono curioso di assaggiare i risultati. Grazie di nuovo per aver condiviso con noi la vostra esperienza, credo che abbiate dato diversi spunti utili, sia per chi vorrà provare il dip hopping a livello casalingo, che in birrificio!

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