Alzi la mano chi in questi mesi ha partecipato ad almeno un seminario on-line! L’offerta non è certo mancata ed è stato evidente che, anche se un appuntamento on-line manca del “corpo”, può comunque dare grandi soddisfazioni per la crescita formativa di ognuno. È bello poter dire: in appena due orette ho imparato tanto, ottimizzando i miei tempi e le mie risorse! Ecco perché nell’attesa del prossimo seminario in cui potremo vederci dal vivo, abbiamo organizzato assieme al nostro partner Fermentis una serie di appuntamenti on-line che fanno parte della Fermentis Academy.
L’incontro di apertura ha toccato i principali aspetti nelle interazioni delle componenti del mosto con il lievito. Si è discusso di come utilizzare il lievito al fine di ottimizzare processi, tempi e risorse economiche e allo stesso tempo raggiungere eccellenti risultati nella birra. Scopo dell’incontro è stato riprendere alcuni temi fondamentali, funzionali ai successivi appuntamenti in programma.
Caratteristiche del mosto
L’orzo maltato è composto, oltre che da un 20% di trebbie, da una serie di sostanze che durante l’ammostamento vengono estratte e vanno a costituire il mosto. Solo il 70-75% dell’estratto risulta fermentabile, mentre la parte rimanente si compone di zuccheri non fermentescibili (glucani…), proteine e peptidi, azoto amminico libero (FAN), iso-α acidi e oli del luppolo, metalli e sali, acidi grassi, polifenoli. Tra gli zuccheri che il Saccharomyces è in grado di fermentare prevale il maltosio, seguito da maltotriosio, glucosio, fruttosio e saccarosio; dal punto di vista della struttura chimica, il maltosio è formato da due molecole di glucosio mentre il maltotriosio da tre. La quantità di unità di glucosio che compongono la molecola dello zucchero, e la tipologia di legami che li connettono determina la capacità della cellula di lievito di assimilarli e fermentarli. Nel malto d’orzo sono presenti due tipi di granuli d’amido: i più grandi gelatinizzano a circa 63°C, temperatura in cui sono attive sia le α- sia le β-amilasi per la degradazione dell’amido. A una decina di gradi in più gelatinizzano invece i granuli di medie dimensioni, ma gli unici enzimi attivi sono le α-amilasi.
Fabbisogno nutrizionale del lievito
Oltre agli zuccheri fermentescibili, il lievito necessita di varie sostanze per una corretta fermentazione.
Per FAN si intendono i composti azotati del mosto disponibili per il nutrimento del lievito: amminoacidi, ammoniaca, di- e tri-peptidi. Il contenuto di azoto amminico libero dipende dal malto utilizzato e dalle temperature di ammostamento, ma il livello ottimale per la moltiplicazione del lievito si attesta sui 150-200 ppm. La carenza di FAN comporta anche una inibizione della capacità del lievito di ridurre il diacetile, soprattutto nelle basse fermentazioni; per questo è importante effettuare analisi specifiche mirate alla rilevazione del FAN. Legato al metabolismo del lievito, il diacetile viene prodotto durante tutta la fermentazione alcolica e, se al di sopra della soglia produce un off-flavor che ricorda il burro, al di sotto può contribuire alla sensazione di pienezza e dolcezza in bocca. La soglia di percezione è comunque molto bassa (0.1-0.2 ppm) e può variare in base a vari fattori oggettivi e soggettivi. Gli studi dimostrano che durante la fermentazione la riduzione del diacetile è più rapida della sua produzione, ma due aspetti rilevanti da tenere sotto controllo sono temperatura e presenza di lievito. All’aumentare della popolazione di lievito e della temperatura, la produzione di diacetile è maggiore ma la sua riduzione è più rapida. Per questo si consiglia una sosta al termine della fermentazione, portando la temperatura a 16°C per le lager, per consentire al lievito attivo di ridurre i dichetoni vicinali, tra cui il diacetile.
Ergosterolo e acidi grassi insaturi sono importanti per la crescita e moltiplicazione del lievito e componenti essenziali per la fluidità e la permeabilità della membrana cellulare. Vengono sintetizzati internamente tramite metabolismo dell’ossigeno, ma anche assorbiti dal mosto e immagazzinati all’interno della cellula. Tuttavia, lo stock diminuisce nel corso delle generazioni, pertanto è importante aggiungere ossigeno quando si riutilizza il lievito. Infine lo Zinco è un cofattore, presente nel lievito secco attivo in quantità sufficiente per 5 generazioni.
Dosaggio e conta cellulare
Per ottenere fermentazioni ottimali e riproducibilità della cotta, la quantità di inoculo deve attestarsi nei range indicati: per una cotta singola, si va dai 50-80 g/hl dei ceppi ad alta fermentazione (pari a un minimo di 3-4,8*106 cellule/ml) agli 80-120 g/hl per i ceppi a bassa fermentazione (pari a un minimo di 4,8-7,2*106 cellule/ml). Ma come effettuare la conta cellulare? I metodi sono diversi e si distinguono tra manuali e automatizzati: nella prima categoria rientrano la camera di conteggio (o camera di Thoma) oppure la placcatura e conteggio CFU, mentre della seconda fanno parte citometria a flusso, spettrofotometria e impedenza microbiologia. Contare le cellule però non è sufficiente, se non si conosce il numero di quante sono effettivamente in vita; le tecniche di valutazione sono molte, ma la più comune fa ricorso al blu di metilene. Il rapporto tra numero di cellule vive e numero di cellule morte restituisce il valore della vitalità.
Cotte singole vs. concatenate
Nella cotta singola, il metodo più semplice, si aggiunge una quantità controllata di lievito a una quantità controllata di mosto; nelle cotte concatenate invece (anche dette topping up) viene aggiunta una prima dose di lievito al mosto nel fermentatore, dove poi viene aggiunta almeno un’altra cotta. Per un risultato ottimale sono molti i parametri da controllare: per quanto riguarda il lievito, dosaggio iniziale e tempo di duplicazione del ceppo specifico, temperatura di fermentazione e portata delle pompe che assicurano una corretta miscelazione, aggiunta di ossigeno e, naturalmente, numero e frequenza delle cotte aggiunte.
Gli studi condotti sulle varie tecniche di inoculo in caso di cotte concatenate hanno dimostrato che la distanza tra la prima e l’ultima cotta non deve superare le 24 ore per evitare che il lievito esca dalla fase di crescita esponenziale; inoltre l’aggiunta di mosto non deve durare più di 45 minuti e deve essere assicurata adeguata miscelazione nel fermentatore. Due sono gli scenari principali analizzati: effettuando due cotte concatenate in 24 ore, il dosaggio deve essere il 50% del volume totale ed è opportuno evitare la fase di latenza al momento dell’aggiunta della seconda cotta. Se invece in 12 ore si effettuano 4 cotte, il dosaggio va calcolato in base al volume totale e può variare dal 75 al 100%, la fermentazione sarà più veloce e produrrà maggiore attenuazione, ma vi sarà il rischio di deviazione genetica a causa dell’alto tasso di crescita del lievito.
Recupero del lievito
Ad una attenta analisi, il recupero del lievito ha più lati negativi che positivi: adatto per grandi volumi di produzione di un solo tipo di birra, può risultare economico ma solo se non si verificano problemi gravi. Infatti, aumenta il rischio di contaminazioni dopo ogni fermentazione e durante lo stoccaggio del lievito, così come cresce la deviazione genetica (specialmente dopo la quarta volta) e si tende a selezionare lieviti ad elevata sedimentazione. Richiede una accurata conta cellulare ed un attento monitoraggio della vitalità, inoltre pone problemi di conservazione e gestione dei vari ceppi in birrificio. Nella birra andranno infine tenuti sotto controllo specifici parametri, come alcol, colore, amaro, ecc.
Il sistema più utilizzato è il Krausening, in cui il mosto in fermentazione viene diviso tra vari fermentatori, recuperando il lievito nella sua forma più attiva. Se invece del recupero diretto da cono a cono si opta per la conservazione, è necessario tenere presenti le condizioni necessarie per evitare danni al lievito e cali di vitalità: temperatura inferiore ai 2°C, condizioni microbiologiche perfette, alcol compreso tra 4 e 6%, bassa agitazione con stress da taglio. Oltre agli inconvenienti già citati prima, le unità conservate disponibili rappresentano anche un possibile ostacolo alla diversificazione.
Ma qual è il momento ottimale per il recupero del lievito? Ovviamente quando il lievito è più attivo (vitalità 60-80%) tra la fine della fermentazione e l’inizio della maturazione, scartando le cellule morte e conservando la frazione cremosa, ricca di cellule attive. È indispensabile evitare la contaminazione da parte di altri lieviti e di batteri e si consiglia di non selezionare lieviti polverosi o troppo flocculanti. Inoltre, si raccomanda di non raccogliere il lievito più di 4/5 volte.
Al momento dell’inoculo, va verificato che la vitalità sia pari almeno al 50% e calcolato con precisione il volume necessario. Inoltre è meglio inoculare lieviti recuperati da birre più chiare a birre più scure, e da birre meno amare a birre più amare.
Stress fermentativi
Vari fattori possono essere fonte di stress nel corso della fermentazione, con conseguente calo della vitalità e della performance fermentativa, irregolarità dell’espressione gustativa e intensificazione dell’autolisi cellulare, che a sua volta comporta off-flavors, instabilità della schiuma (dovuta alla proteasi), torbidità anche in birre filtrate (a causa del glicogeno) e modifica del gusto della birra. Vediamo del dettaglio le varie condizioni di fermentazione e i loro effetti.
Le conseguenze di una quantità di inoculo inferiore ai range raccomandati, a parità delle altre condizioni, sono fermentazioni ritardate, lente o incomplete, con le relative off-notes associate (diacetile, acetaldeide, ecc.). Il lievito utilizzerà più zucchero per produrre biomassa, lasciandone di meno alla produzione di alcol; tutto questo porterà ad una modifica del profilo aromatico finale. In caso di over-pitching, dovuto ad esempio ad errori di calcolo nel riutilizzo del lievito, le fermentazioni saranno invece molto veloci ma si potrebbe creare competizione per l’azoto e le altre sostanze necessarie (zinco, steroli, ecc.), saranno prodotte troppe calorie e, anche in questo caso, il profilo aromatico risulterà differente dalle aspettative.
Passiamo ora all’impatto della temperatura, che per lieviti lager è ottimale tra i 10 e i 16°C: a livelli più bassi, la fermentazione rallenta e fatica a rimuovere diacetile e acetaldeide, con possibili off-flavors; a temperature superiori invece la fermentazione accelera, modificando il profilo organolettico (cosa che talvolta può risultare utile, come si vedrà nel caso del W-34/70). I lieviti ale a temperatura inferiore ai 18°C lavorano più lentamente, non completano la fermentazione e provocano una indesiderata attenuazione finale, oltre ad incontrare difficoltà nella rimozione di diacetile e acetaldeide. Anche sopra i 26°C sono però possibili varie off-notes, a causa della fermentazione troppo veloce.
Anche la densità può influire sulla performance fermentativa, ma considerando che discende direttamente dalla ricetta, è necessario agire su altri parametri. In caso di densità elevata, attenuazione apparente diversa da quella voluta o fermentazione lenta, ecco come operare: per i lieviti ale, aumentare la temperatura fino a 24°C o il dosaggio fino a 80 g/hl. Per i ceppi lager, aumentare la temperatura (max 13/14°C) o lasciarla salire dopo 2 giorni fino a 15-16°C, incrementare la quantità di inoculo fino a 120 g/hl. In entrambi i casi ossigenare in caso di densità elevate (alcol potenziale > 10%).
E per quanto riguarda l’ossigeno? In cotte singole con la corretta quantità di inoculo non è necessario, ma lo diventa in caso di cotte multiple in cui il dosaggio di lievito è stato calcolato unicamente in base alla prima. Si consiglia di ossigenare anche in caso di birre ad alta densità e di riutilizzo del lievito.

Come inoculare il lievito e il concetto E2UTM
Il lievito secco attivo è il formato più fresco usato nell’industria brassicola. Grazie alla esperienza e competenza Fermentis, vengono prodotti lieviti capaci di conservare integre le loro proprietà nell’intero processo di produzione. Non appena entra in contatto con il mosto, il lievito è pronto a fermentare. Questo è il solo modo affidabile di ottenere fermentazioni uniformi tra una cotta e l’altra e raggiungere così lo scopo di ogni birraio. Il lievito secco attivo (ADY) è in grado di resistere a diverse condizioni di reidratazione, in acqua o mosto, anche se è opportuno evitare agitazioni vigorose. Un recente studio dimostra che l’uso di lieviti secchi attivi è un processo semplice ed efficace che non include necessariamente una fase di reidratazione. Al contrario, un grande vantaggio dell’uso di ADY è il fatto di poter essere messo immediatamente in contatto con il mosto in un tino di fermentazione (inoculo diretto). Diverse condizioni di reidratazione e inoculo diretto non mostrano differenze significative in termini di vitalità dei lieviti secchi. Questo concetto è protetto dal marchio E2UTM (Easy to Use).