Fino a circa la metà degli anni ‘90 il mercato del luppolo è stato caratterizzato da un numero ristretto di grandi buyer a fronte di un’offerta frammentata tra singole aziende agricole, cooperative e traders che interagivano in una rete assimilabile al mercato delle commodities. Questo assetto delle relazioni tra utilizzatori finali – prevalentemente birrifici industriali o di grandi dimensioni – e produttori era caratterizzato dalla volatilità dei prezzi, bassa qualità nella media, ridotto numero di varietà coltivate e in generale pratiche di determinazione del prezzo al ribasso. L’assenza di prevedibilità e la marginalità ridotta non permettevano di avviare dei progetti di lungo periodo per migliorare le rese, la qualità del prodotto, aumentare le release di nuove varietà e le sperimentazioni.
Con la rapida crescita del settore craft dagli anni ’90 negli Stati Uniti e dagli anni 2000 in Europa, la richiesta di luppoli di qualità adatti a birre luppolate è notevolmente aumentata e progressivamente sono aumentate le varietà americane da aroma disponibili, le quali si sono affiancate a quelle tradizionali coltivate in Europa. Il passaggio da una varietà consolidata ad una nuova (o diverse nuove) è certamente complesso. Nella decisione di modificare il mix delle varietà coltivate entrano in gioco diverse variabili: il cambiamento da una varietà ad un’altra ha dei risvolti finanziari notevoli, una pianta di luppolo impiega 7 anni a raggiungere la sua massima produttività, nei primi anni di vita la resa è molto bassa e l’incertezza è di per sé un costo.
Da questa situazione è nata l’esigenza da parte dei coltivatori di avere una programmazione pluriennale al fine di fornire ai birrifici artigianali dei prodotti di qualità, stabili sia dal punto di vista aromatico che degli alfa acidi e degli olii, senza rischiare overstock, oltre che di mantenere un business plan sostenibile.
I birrifici artigianali, dal canto loro, necessitano di avere a disposizione le varietà che rientrano nelle loro ricette nel momento giusto e nella quantità richieste.
L’unico strumento che può far incontrare tutti questi fattori e mitigare le bolle sul mercato è rappresentato dal contratto pluriennale, il quale assicura ai birrai le quantità desiderate a dei prezzi stabili e allo stesso tempo dà la possibilità ai coltivatori di prendere delle decisioni con risvolti prevedibili. Considerato il largo anticipo con cui vengono pianificate le coltivazioni e la distribuzione di varietà in campo, è fondamentale per la filiera conoscere e anticipare il più possibile le necessità produttive degli anni a venire.
L’argomentazione è di per sé ovvia, basti ricordare che nella seconda metà degli anni 2010 era diventato impossibile trovare dell’Amarillo®, del Citra®, del Mosaic® sul mercato spot e spesso anche sui contratti tardivi. All’opposto possiamo citare il caso del Cascade e del Centennial, considerate varietà la cui disponibilità era data per scontata (e quindi non necessariamente da contrattualizzare) ma che sul raccolto 2020 era diventato difficile reperire sul mercato spot. O ancora citiamo i luppoli europei, le cui oscillazioni nella disponibilità sono direttamente influenzate dall’andamento sempre più instabile delle condizioni meteo a causa del cambiamento climatico; a proposito ricordiamo la pessima annata del raccolto 2015 e l’eccellente (in termini relativi rispetto le medie decennali) annata 2021.
Tutto molto semplice a scriversi, fino a qui. Ma. Il contesto di mercato in cui operano i birrifici artigianali italiani, per loro stessa testimonianza, è diventato negli ultimi 3 anni estremamente liquido, difficilmente prevedibile e influenzato allo stesso tempo da dinamiche locali, dalla stagionalità, da mode più o meno passeggere (qui potremmo aprire un interessante capitolo sul concetto di hype, sul ruolo dei festival, della grafica e dei social media…ma non lo faremo) e ovviamente dall’andamento del livello dei prezzi. Al momento non ci sono dati che spieghino perché questo fenomeno-moda, che è comunque presente da sempre nel settore craft, si sia accentuato proprio nel periodo post-pandemia, ma così è. Ne deriva una crescente difficoltà da parte dei birrifici, non solo di piccole e medie dimensioni, a prevedere già a inizio anno, unicamente sulla base del venduto, in che quantità necessiteranno del loro specifico mix di varietà a partire da un anno dopo.
Si rende allora necessario un approccio multifattoriale che prenda in considerazione i trend di mercato, l’andamento mensile ed annuale delle varie birre in gamma sia prodotte che vendute, previsioni su 12 mesi, consumi di luppolo annuali e mensili, date di arrivo dei nuovi luppoli, data massima per il ritiro…nonché un pizzico di capacità di preveggenza. Battute a parte, l’approccio al contratto dovrebbe essere allo stesso tempo schematico e flessibile: schematico nel senso che è necessario individuare entro la fine dell’anno precedente al raccolto o al massimo entro il primo trimestre le varietà nelle quantità “core” cioè irrinunciabili, definire quindi l’ipotetico incremento di queste e chiudere senza indugi il contratto. Flessibile nel senso che il birrificio può comunque considerare che in caso di aumento dei consumi di varietà “core” (quindi la necessità di acquistare fuori contratto) o di acquisti di nuove release di luppoli o di varietà sperimentali, potrà comunque contare almeno per il primo semestre dell’anno sull’offerta spot. Anche nel caso degli acquisiti spot le tempistiche sono importanti: mettere in sicurezza per tempo le quantità del proprio fabbisogno è fondamentale per garantire la stabilità della disponibilità di tutte le birre a catalogo. Se un birrificio crede in una nuova release è assolutamente consigliabile che la metta a contratto e che non aspetti che torni disponibile: potrebbe non esserlo fino al prossimo raccolto, dato che altri l’hanno messa a contratto.
Per quanto riguarda l’opportunità di fare dei contratti pluriennali, l’innegabile vantaggio in un contesto economico di prezzi in rialzo e turbolenza sistemica è proprio la stabilità dei prezzi che avranno i luppoli di anno in anno. Invece di contrattualizzare il 100% della quantità rispetto al prossimo raccolto, il birrificio potrebbe contrattualizzare un 20% in meno, andando poi and integrare eventualmente con contratti successivi. Un esempio pratico ad oggi: crop 2023 = 100% del fabbisogno, crop 2024 = 80% del fabbisogno e crop 2025 = 50% del fabbisogno.
In conclusione, i contratti sostengono il mercato e mantengono il funzionamento sano della supply chain, certamente l’acquisto spot può essere allettante una tantum ma non è una strategia affidabile: considerati anno dopo anno, i vantaggi della contrattualizzazione sono incomparabilmente maggiori. Ne citiamo due per tutti: eliminare lo stress che deriva dall’incertezza dell’approvvigionamento, godersi la soddisfazione di aver portato a casa un risparmio rispetto ai prezzi spot.